La Galleria Milano torna ad esporre il lavoro di Davide Mosconi (Milano, 1941-2002), sperimentatore instancabile ed artista poliedrico. Nel 2014 gli era stata dedicata in galleria un’ampia antologica, curata da Elio Grazioli, che cercava di ricostruire il percorso dell’artista tra fotografia, musica e design. La mostra attuale, sempre a cura di Grazioli, intende indagare per la prima volta altri aspetti del suo lavoro non ancora approfonditi, ma centrali, in particolare la sua attività come fotografo di moda e di pubblicità, attività che ha sempre considerato come un mestiere per guadagnarsi da vivere e finanziare la sua attività artistica, ma che in realtà in molti casi si intrecciano perfettamente con la sua ricerca artistica e la sua poetica. Mosconi non ha conservato molto di questi materiali, la mostra è pertanto esito di una ricerca ad hoc.
Nato e cresciuto a Milano, formatosi a Londra, nel 1964 Mosconi si trasferisce a New York per qualche anno per lavorare come assistente di Richard Avedon. La sua prima uscita in ambito artistico è alla Galleria Vismara nel 1967 con la mostra Creazioni applicate ai foulards di Giorgio Dall’Alba, fatto che dimostra fin dall’inizio il legame tra moda e arte nella sua carriera. Tornato a Milano apre nel 1969 un’agenzia propria, lo “Studio X”, presso la quale realizzerà negli anni seguenti campagne pubblicitarie per Fiat, Olivetti, Cassina, Campari, Sip, Rinascente, Brancamenta e altri, oltre a numerosi servizi di moda e di costume.
In tutte queste attività troviamo il tema ricorrente e centrale del corpo, da inserirsi nel contesto dell’antidesign, per il quale «il corpo è il mezzo di azione sul reale e nel reale», portatore di complessità, «per i suoi moti e desideri, tanto da esasperarlo negli esiti più radicali con l’inclusione della distruzione come fase necessaria per la ridefinizione dell’oggetto» (Elio Grazioli). Questa possibilità di rottura porta con sé motivazioni anche politiche.
Nella fotografia di moda troviamo lo stesso trattamento, facendo adottare ai modelli e agli oggetti posizioni insolite e talvolta esasperate. Ciò è visibile nei molti servizi usciti su numerose riviste, tra cui “Vogue Italia”, “Harpers & Queen”, “Linea Italiana”, “Sette”, “Amica”, “Esquire & Derby”, “Myster”. Servizi tutt’altro che frivoli: Mosconi, uomo di grande eleganza, porta l’abito al suo limite e lo interroga criticamente in ogni suo scatto, fatto ben visibile nel libro Cravatte e colletti (1984), realizzato con Riccardo Villarosa, dove l’ultimo nodo della lunga sequenza non è più una cravatta o papillon ma un cappio da impiccato, «cravatta finale e definitiva nella vita di un uomo».
Le opere di Davide Mosconi sono state esposte in prestigiose istituzioni e gallerie in tutto il mondo, tra cui la National Gallery di Bruxelles, l’I.C.A. di Londra, la Guggenheim Foundation di Venezia, la Biennale di Venezia (1991, 1993, 2001, 2003), la Rayburn Foundation di New York.
La Galleria Milano gli ha dedicato due personali nel 1998 e nel 1999 e ha esposto più volte le sue fotografie in mostre collettive. A partire dal 2006 ha ospitato una serie di concerti con l’intento di eseguire tutti i brani contenuti ne LASTORIADELLAMUSICADIDAVIDEMOSCONI, libro d’artista realizzato da Mosconi e pubblicato con Do-Soul nel 1989. Nel 2014 l’ampia monografica Davide Mosconi: fotografia, musica, design.
In occasione della mostra verrà presentata la monografia di Elio GrazioliDavide Mosconi: moda, arte, pubblicità, edita da Tip.Le.Co.
Parlare di Davide mi riesce sempre difficile e mi spaventa anche un pochino perché lui non c’è per rispondermi, bacchettarmi e dirmi – forse – che non capisco niente. Non che sia successo spesso ma, malgrado la grande e affettuosa amicizia che ci legava, dovevo stare sempre attenta a non dire “banalità”. Davide aveva orrore del banale. Era lucido, intelligente, acuto, curioso e spiritoso. Si interessava di ogni cosa della vita ed era disponibile ad ascoltare le opinioni di tutti (purché non “banali”), era sempre desideroso di conoscere e sperimentare. Esprimeva la sua creatività in ogni campo artistico e non. Nella musica, negli oggetti sonori, nella fotografia e fotografia pubblicitaria, nelle performances, nel design (mobili e oggetti per casa propria) ma anche nel giardinaggio e nel proprio abbigliamento.
Mi chiedete quando ci siamo conosciuti. Non lo so, non ricordo, a volte mi sembra di averlo sempre conosciuto, ma non è vero. Negli anni settanta andavo alle feste in casa sua in via dell’Orso. Più o meno tutte le sere la loro casa era aperta a tutti, una marea di persone andava e veniva, fiumi di bevande e musica a palla. In quella casa enorme c’era un solo bagno senza porta, chiuso solo da una tenda…. Davide aveva ancora una lunga coda di cavallo ma dopo che una sera, sotto casa sua, uno scippatore lo aggredì e gli strappò coda e i capelli, si fece rasare a zero.
La nostra amicizia si fece più stretta dopo i concerti – performances eseguiti con Juan Hidalgo e Walter Marchetti e organizzati da Gianni Sassi per Milano Poesia nel 1987 alla Rotonda della Besana e all’Ansaldo.
Da allora Davide frequentò regolarmente la galleria. Arrivava con la sua macchinona americana – una Dymler d‘epoca mi pare, con cui – secondo Ines – viaggiava lentissimo. Non potevo non osservare con attenzione il suo modo di vestire: era sempre curatissimo, personale e bizzarro. Una volta seduti nel mio studio con un caffè o un bicchiere in mano, cominciavamo a chiacchierare per ore. Si parlava un po’ di tutto: di progetti, arte, fatti del giorno o personali, parlavamo di fiori e – di tanto in tanto – spettegolavamo un po’, ma l’argomento principale divennero presto le coincidenze sia nei nostri sogni che nella realtà.
La prima mostra nella mia galleria è stata quella dei “Cieli” nel febbraio 1998. Venivano esposti due cicli di lavoro: “Tritticidel cielo”e il ciclo “Disegnare l’aria”. I trittici erano realizzati con la Polaroid grande formato messa a sua disposizione dalla Polaroid stessa, che in seguito gli conferì il primo premio. In tutti e due i lavoro la ricerca sul caso e sulla simultaneità si era fatta più evidente. Osservando le fotografie di cieli di notte e di giorno trovate sia sui libri e atlanti consultati nella biblioteca del padre come pure in volumi sulla fotografia d’arte, Davide ebbe modo di constatare che alcune immagini scattate in luoghi e in epoche diverse erano molto simili. Ne selezionò sempre due, le rifotografò con la Polaroid grande formato ne aggiunse una terza, sua .( Ho scoperto molto più tardi che nei trittici aveva trattato molti altri temi, molti dei quali vennero esposti per la prima volta in Italia da Elio Grazioli nel 2011 a Reggio Emilia. (Trittico delle torte, dei bombons, del corpo, delle membra, delle tavole imbandite, degli incappucciati e così via. L’ultimo lavoro che abbiamo anche esposto noi a Milano erano “5 trittici in morte del padre”.
Il ciclo “Disegnare l’aria “ è la casualità che la fa da padrone. Con soli tre scatti Davide aveva fotografato oggetti vari: corde, bacchette, rami, pezzi di stoffa, palline che, lanciati in aria avrebbero disegnato il cielo. Le immagini sarebbero state casuali. Davide diceva inoltre che considerava questo lavoro anche un omaggio all’amico Bruno Munari che, negli anni cinquanta, aveva lanciato da una torre pezzetti di carta di forme diverse con l’intento di “far vedere l’aria”. La sua era una azione analoga e opposta, lui disegnava il cielo.
Ma la mostra di maggior impegno e che ho seguito più da vicino fu quella successiva quella delle “Polveri”. Ormai parlavamo spesso delle coincidenze della vita, ci raccontavamo aneddoti e sogni relativi all’argomento. In questo ciclo di lavori Davide intendeva arrivare ad eliminare o quasi l’intervento del fotografo. Non doveva essere il fotografo a scegliere una inquadratura, sarebbe stato il caso a fissare l’immagine di queste polveri lanciate in aria. Polveri d’argento, d’oro e di scaglie di pietre preziose e semi-preziose. L’operazione era così concepita: appoggiare le polveri o i frammenti di pietre su un telo di gomma fissato su una branda, la macchina fotografica restare fissa e, tirando da sotto con forza il telo di gomma, far volare in aria le polveri. L’apparecchio fotografico avrebbe fissato il volo coì come il caso voleva. Il lancio ma soprattuttonle pietre e le polveri avrebbero sprigionato energia. Lui stesso, fotografo solo il un tramite vissuto attraverso una infinita serie di coincidenze, non l’autore.
Sarebbe partito al più presto per Jaipur, famoso centro internazionale di tagliatori di pietre preziose e semipreziose, dove sperava di trovare le scaglie o frammenti di scarto necessari per il lavoro che aveva in mente. Tornò felice. Nel primo bar aveva chiesto a un avventore se per caso potesse indicargli un tagliatore, e chi non era l’avventore se non il più rinomato tagliatore del posto? Questi, entusiasta dell’idea di Davide, si mise a sua completa disposizione. Altra felice coincidenza.
Gli inviti alla mostra sarebbero stati stampati in argento su un cartoncino blu notte e Francesco Saba Sardi avrebbe scritto per l’occasione un bellissimo testo poetico. Al momento di imbustarli anche Davide venne a dare una mano. In quel momento nacque l’idea di mettere negli inviti un po’ di polvere d’argento per disegnare i vestiti e le case dei destinatarii. Molto successo ma anche lamentele dalla parte di chi si vedeva costretto a spazzolare tutto. (Lo stesso impiegato delle poste qualche giorno dopo mi riconobbe e mi minacciò, ridendo,di mandare alla galleria il conto della tintoria.)
Con Davide era bello non solo avere il suo parere su i miei progetti, ma anche ridere e giocare
Solo in seguito dopo la sua improvvisa tragica morte, nell’organizzare con Ines le altre sue mostre e concerti, ebbi modo di conoscere ulteriori sue ricerche di cui però parleremo in un’altra occasione.
Il sogno di Davide, 1968. Copertina del catalogo della Mostra. Galleria Diaframma.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
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Il sogno di Davide, 1968. Lightbox foto b/n, ektachrome; 60,5 x 60,5 x 16 cm.
“Il sogno di Davide”, 1968
Le installazioni facevano parte di una mostra esposta alla galleria “Il diaframma” di Milano nel 1968. Si trattava di immagini inserite in strutture retroilluminate – lightboxes – che esaltavano le ‘finestre’ (costituite da foto a colori di nuvole) ricavate su varie parti dei corpi ripresi.
Il risultato finale voleva essere di stampo surreale e sottolineare l’importanza della visione rispetto alla parola: infatti nel volto della ragazza si nota la ‘scomparsa’ della bocca allora ottenuta non con il computer come oggi ma con un intervento in camera oscura.
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La Galleria Milano è lieta di presentare una mostra antologica dedicata a Davide Mosconi (Milano, 1941-2002), sperimentatore instancabile come artista, musicista, fotografo e designer. L’occasione si lega all’uscita della prima esauriente monografia su Mosconi, scritta da Elio Grazioli.
La figura di artista di Mosconi è uno dei non moltissimi esempi del modo giusto di essere artista nella condizione contemporanea, quella che mette in gioco tutto se stesso, che non si limita a un apporto estetico ma rappresenta un modo di essere e di avere a che fare con il mondo.
Davide Mosconi intraprende una coraggiosa fusione tra arte e vita lungo tutto l’arco della sua biografia, mantenendo lo spirito sincero dell’amateur. Nato e cresciuto a Milano, abbraccia quasi contemporaneamente la passione per la fotografia e per la musica. Dopo essersi diplomato al conservatorio G. Verdi, nel 1961 si trasferisce a Londra dove studia fotografia al London College of Printing. Nel 1963, per quattro anni, lavora come assistente di Richard Avedon e Hiro. Tornato a Milano nel 1967, tiene presso la Galleria Il Diaframma la sua prima personale dal titolo Il sogno di Davide. Nel 1968 forma il “Quartetto” con Gustavo Bonora, Marco Cristofolini e Enzo Gardenghi, con i quali organizza una serie ininterrotta di concerti dal vivo, eventi privati e registrazioni in studio. Nel frattempo fonda lo studio di fotografia e grafica “Studio X”, presso il quale realizzerà negli anni seguenti campagne pubblicitarie, servizi di moda e di costume. Nel 1970 progetta e realizza il libro fotografico Design Italia ’70. Nel 1972 partecipa alla mostra Italy:The New Domestic Landscape al MoMA di New York con il cortometraggio Something to belive in; due anni dopo è tra gli artisti diFotomedia, mostra itinerante tra Dortmund e Milano. Intanto continua ininterrottamente la ricerca musicale, attraverso la performance, la collaborazione con altri musicisti, l’improvvisazione e l’invenzione di strumenti inediti. Nei primi anni Ottanta comincia a lavorare su invito della Polaroid con la nuova macchina oversize 51×61 cm. Nel 1984 inaugura con In morte del padre la serie dei “trittici”, per cui riceve il premio Polaroid; nel 1997 gli è conferito il primo premio per la fotografia d’arte dal prestigioso International Center of Photography. In questi anni si concentra su procedure affidate al caso e all’istante: i due lavori più importanti in questa direzione sono le serie fotografiche Disegnare l’aria e Polveri, omaggio a Bruno Munari. Il 4 aprile 2002 muore fatalmente, investito da un taxi.
Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni e gallerie in tutto il mondo, tra cui la National Gallery di Bruxelles, l’I.C.A. di Londra, la Guggenheim Foundation di Venezia, la Biennale di Venezia (1991, 1993, 2001, 2003), la Rayburn Foundation di New York.
La Galleria Milano gli ha dedicato due personali nel 1998 e nel 1999 e ha esposto più volte le sue fotografie in mostre collettive. A partire dal 2006 ha ospitato una serie di concerti con l’intento di eseguire tutti i brani contenuti ne LASTORIADELLAMUSICADIDAVIDEMOSCONI, libro d’artista realizzato da Davide e pubblicato con Do-Soul nel 1989.
In occasione della mostra verrà presentata la monografia di Elio Grazioli.
Inoltre verrà presentata, per la prima volta in Italia, la Sezione ritmica, prima parte della composizione Sezione aurea. L’installazione e la direzione sonora della première saranno a cura di Gerardo De Pasquale. Concepita da Davide Mosconi nel 1971 in occasione della nascita della figlia Tantra, e compiuta nel 2000 dopo un lungo processo di elaborazione, è stata finalmente edita quest’anno a Doha da Alga Marghen, grazie a Emanuele Carcano e Gabriele Bonomo. Si tratta di sei dischi vinilici vergini, senza alcun suono registrato, sulla cui superficie sono state tracciate linee algebriche con punte di diverse misure. «Il lavoro nasce da un mio vecchio desiderio: fare una musica che, senza alterare gli elementi che la costituiscono, ogni volta che viene suonata non è mai uguale a se stessa», spiega l’artista in un suo scritto pubblicato nel cofanetto di Sezione aurea (Alga Marghen, Doha 2014). I dischi vanno suonati insieme, ma è impossibile farli partire simultaneamente: nell’irrepetibilità del suono che ne deriva sta la dichiarazione di unicità che Davide Mosconi voleva raggiungere.
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